Genere | audiointervista |
Cronologia | 1985 mag. 08 |
Persone |
Steindler, Ruth Steindler, Aloisio |
Abstract | L'intervista è stata registrata presso il Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano il 5 maggio 1985. Ruth Steindler nasce a Praga il 2 gennaio 1920 da Alosio e Irene. Figlia unica, frequentò le scuole tedesche e conseguì il diploma di maturità quando i tedeschi occuparono la Cecoslovacchia. Il 18 ottobre 1941 furono deportati da Praga. Arrivarono nel ghetto di Lodz, città polacca. Qui la vita era sempre in bilico: lavoravano dieci ore al giorno all'interno delle fabbriche, lottavano contro altri ebrei polacchi per la scarsità di cibo, temevano il tifo e altre malattie. Dopo i due anni passati all'interno del ghetto di Lodz il 9 agosto 1944 furono deportati ad Auschwitz. Arrivarono il 10 agosto senza sapere dove fossero. Ricorda che lasciati i vagoni, separarono uomini e donne: fu quella l'ultima volta che vide il padre. I tedeschi divisero i deportati appena arrivati in file da cinque, la zia venne mandata nelle camere a gas, mentre lei e la madre vennero condotte in un stanza dove furono spogliate, rasate a zero, lavate senza sapone e disinfettate. Dopo aver consegnato a ciascuna uno straccio per coprire le nudità, i soldati accompagnarono le deportate al rispettivo blocco che poteva contenere fino a mille donne. Il blocco era composto da brande disposte su piani, che poteva tenere fino a quattordici donne, incastrate e pressate come sardine. Il processo, dall'arrivo alla sistemazione nel blocco durò molte ore. Nelle latrine le portavano solo tre volte al giorno. Se qualcuna non riusciva a rispettare le tre volte, erano sanzioni per tutte: le facevano stare in ginocchio mentre dovevano tenere una tegola con le braccia alzate per tre ore. Gli unici momenti di gioia si avevano durante gli attacchi degli aerei; allora i tedeschi facevano rientrare tutti nei blocchi in attesa che finisse il coprifuoco. Il decimo giorno di permanenza ad Auschwitz con la madre fu trasferita in un altro campo. Il viaggio in treno durò tre giorni e tre notti, un viaggio estenuante che le portò vicino a Bergen Belsen, dove furono sistemate in tende da quattrocento persone. Si dormiva per terra. Il lavoro svolto nelle fabbriche, le portarono in contatto con la popolazione tedesca che si dimostrò gentile - ricorda che sua madre ricevette un paio di scarpe da una signora tedesca -. La fine di tutto questo arrivò il 14 aprile del 1945. I tre giorni precedenti la Liberazione furono terribili: gli americani avevano tagliato luce, acqua e gas alla cittadina vicina, nel lager non c'era più cibo e il freddo era pungente. Due mesi dopo tornò a Praga dove la sua casa era stata distrutta dalle bombe e seppe con certezza che il padre era morto ad Auschwitz. |