Genere | audiointervista |
Cronologia | 1992 giu. 23 |
Persone | |
Credits |
(intervistatore) Picciotto, Liliana |
Abstract |
L'intervista è stata registrata presso l'abitazione di Liliana Picciotto. Emma Pontremoli nacque a Milano il 24 giugno 1922 da Lea Jarach e Bruno Pontremoli, figlia unica. Il padre, nato a Milano, fu ingegnere termotecnico, incaricato di dirigere l'azienda del nonno; la madre era figlia di Federico Jarach. La famiglia Pontremoli era originaria di Vercelli; la famiglia Jarach proveniva in parte da Livorno e in parte da Ferrara. Abitavano in piazzale Baracca, famiglia tradizionalista, ma anche inserita nella vita milanese e quindi assimilata. La figura del nonno Jarach fu importante per tutta la famiglia: aveva avuto esperienza nella marina, aveva costruito l'azienda Rubinetterie Riunite, era impegnato e inserito nella comunità ebraica, di cui fu per qualche anno presidente. In famiglia l'impegno ebraico del nonno era particolarmente sentito durante le festività. Il nonno aveva sofferto nel 1921 per i primi moti operai e aveva abbracciato le idee del primo fascismo, poiché riteneva che potesse portare quell'ordine di cui l'Italia aveva bisogno; aveva avuto alcune cariche amministrative per il comune di Milano. La propensione per il fascismo fu portato anche nell'ambito del suo impegno ebraico. Il nonno, con l'amico e professore Falco, studiava come ostacolare la spinta fascista dell'antisionista torinese Ovazza. Federico Jarach, presidente, anche se per un breve periodo, del gruppo sionistico milanese, pensava al sionismo come ad un movimento benefico cioè volto a favorire chi si trovava in uno stato di persecuzione. I riflessi delle leggi antiebraiche del 1938 furono notevoli per tutti, in particolare per l'espulsione dalle scuole, superata grazie al nonno e al professore Falco, che in breve tempo mandarono a compimento il progetto di una scuola ebraica in via Eupili, presieduta dal professore Colombo. Tra i docenti ricorda: Bonfiglioli, Perugia, Levi, Pio Foà; tra i compagni di classe: Anna Marcella Falco, Enrico Tedeschi, Luciana Vitale, Gilberto Forti, Bergman, Agiman, Adelina Provenzali, Bruno Morpurgo, Renato Jarach, e Lia Foà. Le conseguenze portate dalle leggi antiebraiche si manifestarono nel lavoro - l'azienda fu venduta nel 1942 - nella vita morale e sociale - amici e conoscenti si allontanarono. Con i bombardamenti del 1942 a Milano decisero di sfollare in una villa sul lago Maggiore tra Arona e Meina appartenente allo zio Renato Jarach che lasciò l'Italia nel 1939, in quanto pessimista sull'evoluzione della situazione. Lo zio emigrò facilmente, dopo aver soggiornato per un breve periodo in Svizzera si trasferì con la famiglia prima a Tel Aviv, poi a Gerusalemme; nel 1943 morì in un incidente in macchina. La zia, Luciana Israel Jarach, vedova con cinque figli, anche dopo la guerra, rimase a Gerusalemme.L'8 settembre 1943, cominciarono a capire che le cose non andavano molto bene; nel primo pomeriggio del 15 settembre, furono avvertiti da un ex marinaio e da Sabatino Lopez di scappare il prima possibile perché i tedeschi avevano prelevato dai comuni le liste di ebrei presenti sul territorio. Decisero di spostarsi con la barca verso l'altra sponda del lago; dopo aver attraccato ad Anco furono avvisati da alcuni amici che i tedeschi si erano allontanati e che pertanto avrebbero potuto tornare a villa Jarach. Sulla via del ritorno videro da lontano un tedesco sul molo quindi decisero di riattraversare il lago e di attraccare di nuovo ad Anco. Lì chiesero ospitalità per la notte. La mattina seguente si diressero verso Varese dove c'era il resto della famiglia Jarach a villa Shapira, e dopo aver dato l'allarme a tutti, si divisero: i nonni, la zia [Misrachi] con i figli andarono a Luino, con l'idea di passare in Svizzera, mentre Emma con i genitori ed Olimpia Foà che era con loro si mossero verso Esino Lario per passare poi verso sud (Olimpia Foà era di Ancona e voleva ricongiungersi alla sua famiglia). La decisione non andò in porto perché arrivati ad Esino Lario Emma si ammalò e a causa di febbre altissima la famiglia fu bloccata per venti giorni. Il padre prese contatti a Monza con degli amici decidendo di rifugiarsi in Svizzera. La fuga fu ostacolata dalla chiusura, da parte degli svizzeri, dell'accettazione di ebrei nel mese di ottobre del 1943; allontanatisi dal confine, si rifugiarono presso alcuni amici per una notte; il giorno seguente tornarono ad Esino Lario nel tentatino di organizzare un'altra fuga. I nonni non passarono in Svizzera perché un amico di Roma con il quale si era messo in contatto li aveva raggiunti a Luino, dicendo loro di trasferirsi nella capitale. Rientrarono in Italia e qui si ritrovarono tutti. |