Goti Herskovits Bauer - Intervista a Agata Herskovits

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Genereaudiointervista
Cronologia1987 feb. 25
Persone

Herskovits, Agata

Herskovits, Luigi

Amster, Rebecca

Zelikovits, Karl

Kugler, Gisella

Kugler, Elena Anna

Berger, Erna

Credits

(intervistatore) Picciotto, Liliana

Luoghi Fiume Cremenaga
Abstract

L'intervista è stata realizzata da Liliana Picciotto presso l'abitazione di Agata [Goti] Herskovits Bauer a Milano. La data dell'intervista non è dichiarata.

Agata [Goti] Herskovits Bauer nacque il 29 luglio 1924 a Berehovo, nell'ex Cecoslovacchia, da Luigi Herskovits, di origine polacca, e Rosa Amster, di origine cecoslovacca. Si trasferì a Fiume nel 1929 con i genitori ed il fratello minore per motivi di lavoro del padre, commerciante. L'intervistata viene sollecitata a parlare della vita in famiglia, le lingue parlate in casa, la composizione della famiglia, l'identità ebraica. La famiglia Herskovits era ortodossa e tale rimase anche a Fiume. Ricorda che a Fiume c'era anche un circolo sionista; alcuni erano emigrati da Fiume in Palestina proprio perchè sionisti. Parla anche del rapporto con il fascismo prima del 1938. Accenna alla campagna antisemita precedente le leggi; del contatto con i profughi dell'Europa orientale che transitavano da Fiume per recarsi in Palestina. Dopo le leggi razziali del 1938, la famiglia Herskovits, in quanto di nazionalità straniera arrivati nel 1929, avrebbe dovuto lasciare la città entro il maggio del 1939. Rimasero a Fiume poichè il padre, anziano e malato, grazie ad una clausola speciale della legge per gli uomini di una certa età. L'8 settembre all'annuncio dell'armistizio a Fiume ci furono festeggiamenti, ma la situazione si rivelò subito drammatica. I tedeschi arrivarono pochi giorni dopo l'8 settembre. Conoscenti e amici, una famiglia di vicini di casa, aiutò e si prodigò per la famiglia Herskovits mettendo in pericolo la loro stessa vita. L'intervistata parla della particolare condizione degli ebrei di Fiume, di isolamento e di inconsapevolezza di quanto stava accadendo. E poi perchè composta da molti stranieri che non parlavano italiano o lo parlavano male. La scarsa conoscenza della lingua costituiva un deterrente alla fuga. Quando cominciarono le retate nelle case di Fiume, allora gli ebrei cominciarono a fuggire. L'intervista prosegue con il racconto dettagliato delle vicende che seguirono il momento della fuga da Fiume fino ai giorni della deportazione e poi della vita nel campo di Auschwitz. Nel gennaio del 1944 Agata fu mandata a Viserba, in Emilia Romagna in cerca di documenti falsi per sè e per la famiglia. Sulla strada del ritorno, alla stazione di Trieste incontrò i genitori ed il fratello fuggiti nella notte da Fiume per evitare la retata prevista nei giorni successivi. Erano gli inizi di febbraio. Con i documenti falsi riuscì a ricoverare il padre a Trieste nella clinica del prof. Ravasini. Agata, con il fratello e la madre, si rifugiarono a Viserba, insieme alla famiglia Altmann in una casa in affitto. In seguito fu costretta a prelevare il padre dalla clinica a causa dell'aumentare dei controlli negli ospedali. Una volta riunita, la famiglia tentò di espatriare in Svizzera nel mese di maggio del 1944: partiti da Milano si recarono a Varese da cui raggiunsero in tram il paese di Ghirla. Con Agata c'erano la madre e le sorelle Kugler. Da qui iniziarono la marcia nei boschi, accompagnati da guide, in direzione del confine. In prossimità di quest'ultimo vennero traditi dagli accompagnatori ed arrestati da finanzieri italiani presso Cremenaga. Prelevati dai tedeschi vennero trasferiti a Ponte Tresa e, successivamente, rinchiusi per vari giorni nel carcere di San Vittore a Milano. Il 16 maggio 1944 vennero trasportati in camion chiusi sino alla Stazione Centrale dove, caricati su vagoni chiusi, partirono verso Carpi. Dalla stazione di Carpi furono portati in autobus al campo di concentramento di Fossoli. Vennero alloggiati in una baracca sovraffollata ed il pomeriggio del giorno dopo vennero caricati sul trasporto per Auschwitz-Birkenau, che raggiunsero la sera del 23 maggio 1944. La mattina dopo l'arrivo, la famiglia scese dal treno e venne separata per sesso. Agata e la madre vennero condotte presso una baracca dove un ufficiale delle SS selezionava le detenute: Agata venne separata dalla madre, che venne caricata su un camion; dalle file maschili assistette alla separazione del fratello dal padre. Venne in seguito condotta con le altre internate presso una segreteria dove venne immatricolata n°A5372 e tatuata. Con lei c'erano le sorelle Gisella ed Elena Kugler, Erna Berger ed altre. Qui la prigioniera ungherese che si occupava delle pratiche le comunicò il destino dei genitori, mandati a morire nelle camere a gas. Agata, in stato di shock, venne quindi spogliata, rasata e lavata e portata in una baracca dove trovò un mucchio di vestiti spaiati per vestirsi. Venne alloggiata nel blocco di quarantena per un periodo più lungo della media per un caso di malattia infettiva tra le prigioniere che erano con lei. In seguito venne alloggiata nel lager B ed impiegata, all'esterno del campo, come manovale nello scavo delle trincee. Il lavoro cominciava verso le 5 del mattino e durava dalle 10 alle 12 ore al giorno. L'appello - al mattino prima del lavoro e la sera dopo il lavoro - era uno dei momenti più terribili della giornata. L'intervista prosegue con il racconto dettagliato delle giornate nel campo: orari di lavoro, alimentazione, riordino delle baracche; compiti dei capobaracca. Fa alcune considerazioni sullo stravolgimento della personalità dopo una lunga detenzione nel campo, come accadeva alle capocampo. Descrive il processo di selezione e cremazione. Nel novembre del 1944, a causa dell'avanzata russa, venne trasferita in treno con altre 300 prigioniere - c'erano molte rodiote e anche molte romane - a Wilischtahl, in Alta Slesia, dove lavorò in una fabbrica di munizioni. In seguito ai bombardamenti venne trasferita nel campo di Theresienstadt dove attese la liberazione, che avvenne l'8 maggio 1945. Insieme ad altre prigioniere italiane raggiunse in treno il consolato italiano di Praga. Da qui partì per Vienna dove venne rinchiusa in un campo di raccolta gestito da militari russi. Riuscì a tornare a Fiume con un convoglio di rimpatrio per cittadini jugoslavi.

Dopo il rientro a Fiume, raccontò da subito la sua esperienza, ma smise quando percepì stanchezza in chi la ascoltava. Come altri - racconta - ha ripreso molti anni dopo la sua attività di testimone perchè la memoria della Shoah non vada perduta.

NoteL'audio dell'intervista risulta leggermente disturbato.

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