Emillio Foà - Intervista a Emillio Foà

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Genereaudiointervista
Cronologia1987 lug. 15
Persone

Foà, Anselmo

Foà, Emilio

Foà, Laura

Milla, Adele

Milla, Aldo

Parigi, Ugo

Credits

(intervistatore) Colombo, Gigliola

Luoghi Fossoli Auschwitz Birkenau
Abstract

Testimonianza rilasciata a Gigliola Lopez il 15 luglio 1987 a Roma in via Pinturicchio 24.

Emillio Foà nacque a Rivarolo Mantovano il 29 agosto 1926, figlio di Anselmo Foà e Adele Milla, aveva una sorella di nome Laura. Pochi mesi prima del dicembre 1943, dopo aver vissuto a Casale Monferrato, la famiglia, non particolarmente osservante ma di forte tradizione ebraica, si trasferì a Rivarolo Mantovano per mettersi al riparo dalla legislazione antiebraica. A Rivarolo Mantovano la famiglia prese contatti con un gruppo partigiano; dopo pochi giorni il padre Anselmo, Emilio e lo zio furono arrestati mentre si trovavano a casa di una famiglia di amici, i Rastelli. La madre e la sorella invece, avvertite per tempo, riuscirono a scappare e si salvarono. Dopo essere stati rinchiusi in una camera di sicurezza, presso la stazione dei Carabinieri di Bozzolo, furono mandati a Mantova - la questura di Mantova aveva trasformato la casa di riposo ebraica sita in via Gilberto Govi n. 11,  in un centro di detenzione. Il 5 aprile del 1944 quarantaquattro persone furono però deportate ad Auschwitz tramite un convoglio proveniente da Fossoli. Il treno, dopo una pausa a Insbruck, arrivò a Birkenau. La selezione si svolse appena scesi: una parte a Birkenau, l'altra ad Auschwitz, dove la disciplina era durissima. Fu l'ultima volta in cui Emilio vide il padre. Lo zio, Aldo Milla, che aveva passato la prima selezione, venne successivamente inviato a Birkenau per malattia. Alla quarantena durata quindici - venti giorni seguì una visita medica per l'assegnazione di un lavoro. L'amico Ugo Parigi fu destinato ad un lavoro in una miniera nella Slesia. Emilio venne invece scelto per lo scarico vagoni di materiale da costruzione, lavoro che svolse fino al gennaio 1945 quando fu trasferito a Mauthausen. Alcuni detenuti di Auschwitz furono liberati dai tedeschi stessi e mandati come volontari al fronte: motivo di propaganda tedesca per mostrare all'opinione pubblica che anche da Auschwitz c'era chi veniva liberato. Con l'avvicinarsi dei russi, i tedeschi iniziarono la ritirata verso l'interno del Reich. Emilio, che era nel settore del carico - scarico merci, fu uno degli ultimi a partire. Era il 22 gennaio del 1945. Emilio e il suo reparto, partendo per ultimi, notarono lungo la strada i cadaveri di chi era morto durante il trasferimento: durante il tragitto i militari scortavano i detenuti e non si preoccupavano di chi rimaneva indietro; dopo essere arrivati in un paese polacco della bassa Slesia, li misero su un treno che li portò a Mauthausen. Qui furono radunati in baracche di legno, non c'era lavoro e poche erano le occasioni per muoversi e sopravvivere al freddo. Rimase a Mautausen per circa quindici - venti giorni, poi fu inviato nel sottocampo di Melk, quindi a Wels, dove, ormai in fin di vita, scoprì di aver contratto il tifo petecchiale.  Nel maggio del 1945 gli americani lo liberarono e lo portarono all'ospedale di Linz. Insieme ad un gruppo di italiani militari rientrò in Italia con un treno; si fermò a Casale [Monferrato], dove un amico lo rassicurò sulle condizioni della sorella e della madre.

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